Negli ultimi anni si è registrata un’evoluzione degli studi storici sui terrorismi italiani. Il cambiamento è dipeso da molteplici fattori: la maggiore disponibilità di fonti consultabili ha permesso di individuare nuovi terreni d’indagine, prima preclusi. Non solo per quanto riguarda le vicende dei gruppi e dei movimenti armati, di cui oggi abbiamo una conoscenza più approfondita, sebbene via sia ancora tanto lavoro da fare.

C’è stato un cambiamento di sensibilità, non ancora colto dal dibattito pubblico, che ha portato ad aprire nuovi filoni di ricerca: dalle ricadute delle stragi e degli atti di terrorismo sulla società e sul sistema politico alle reazioni dei grandi partiti di massa, fino al ruolo dello Stato, della società civile, degli intellettuali, dei movimenti.

La maggiore disponibilità di fonti sta interrompendo il cortocircuito prodotto dall’eccessivo peso della memoria nella ricostruzione e nella ricezione di quegli eventi.
Le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi e del terrorismo hanno giocato un ruolo importante nell’apertura degli archivi. La Rete degli archivi per non dimenticare, l’Archivio Flamigni, la Casa della memoria di Brescia, l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, l’Associazione parenti vittime della strage di Ustica – solo per fare qualche esempio – non si sono limitate a svolgere una funzione di testimonianza civile, ma hanno fornito un contributo importantissimo alla conoscenza dei terrorismi, promuovendo la raccolta e la digitalizzazione dei procedimenti penali. Le stragi di piazza Fontana e di Brescia sono oggi molto più indagate ed appaiono molto meno oscure di quanto non fosse fino a qualche anno fa.
Gli storici hanno avuto così a disposizione una massa enorme di documenti di ogni tipo, compresi quelli provenienti dai servizi di sicurezza dello Stato. Ciò ha permesso di “ripensare” le fonti, perché, in realtà, molti documenti per lo studio dei terrorismi erano sempre stati fruibili: non solo negli archivi di Stato e in quelli giudiziari, ma nelle emeroteche e nelle biblioteche, pubbliche e private. Senza contare i documenti raccolti, anche se non ancora resi completamente disponibili, dalle Commissioni parlamentari.

La documentazione consultabile dagli storici si è dunque moltiplicata. Certo il lavoro da fare è ancora molto e coinvolge diverse figure professionali: storici, bibliotecari ed archivisti, innanzitutto. Ad esempio, sarebbe necessario promuovere una mappatura degli archivi e delle fonti riguardanti i terrorismi. Esistono già lavori di questo tipo, ma la mole di documentazione ipotizzabile per la ricerca è davvero grande, se pensiamo, ad esempio, agli archivi giudiziari sparpagliati sul suolo nazionale. C’è il rischio, infatti, che molto materiale possa finire al macero. Un problema analogo si pone, poi, per le fonti prodotte dalle istituzioni, com’è noto, non sempre versate integralmente negli archivi competenti, con la prospettiva di essere disperse se non addirittura distrutte.
La Direttiva Renzi del 22 aprile 2014, volta a declassificare e a rendere disponibili i documenti relativi alle principali stragi che hanno segnato la storia della Repubblica, dal 1969 al 1984, ha rappresentato un significativo passo in avanti in questa direzione, dopo quello compiuto dalla direttiva Prodi dell’8 aprile 2008, con analoghe funzioni di declassifica e versamento. Nel settembre del 2016, inoltre, la Presidenza del Consiglio ha costituito un Comitato consultivo, coordinato dal Sovrintendente dell’Archivio centrale dello Stato e composto da un rappresentante del Consiglio dei Ministri, dai rappresentanti delle Associazioni delle vittime del terrorismo e da esperti, con lo scopo di monitorare le attività di versamento da parte delle diverse amministrazioni dello Stato e di indicare nuclei documentali non ancora versati.

Il Comitato, istituito per la durata di un anno, ha lavorato su diversi temi, su cui conviene soffermarsi. Il versamento delle carte è stato cospicuo, ma non completo, per diverse ragioni: in primo luogo per il carattere peculiare della richiesta che ha privilegiato un criterio di selezione tematico a discapito dell’integrità delle serie. Inoltre le condizioni di abbandono di diversi archivi – un problema condiviso da tutte le amministrazioni pubbliche e che va molto al di là dei compiti assegnati al Comitato – ha complicato il reperimento delle fonti. Infine, difficoltà di comunicazione e in qualche caso alcune riluttanze inerziali a fornire indicazioni sulla reperibilità o meno del materiale richiesto, hanno rallentato le procedure di versamento. Ciononostante, la mole di documenti acquisiti è stata considerevole, una condizione che ha imposto una riflessione sulla quantità e sulla qualità della documentazione fino adesso resa disponibile.
L’auspicio è che in futuro si favorisca la regolarità del versamento delle serie archivistiche e non dei singoli fascicoli, raddrizzando il tiro rispetto a quanto in genere avvenuto, nonostante successive circolari abbiano specificato più dettagliatamente i criteri di selezione. Il rischio, non solo dal punto di vista degli storici, è il ripetersi del carattere eccezionale che ha connotato nel tempo la formazione del corpo documentario inerente gli anni del terrorismo. Ne costituisce esempio il pur virtuoso lavoro compiuto dalle Commissioni parlamentari d’indagine che ha reso fruibile una gran quantità di fonti, estrapolate però in risposta ai diversi input investigativi provenienti da ciascuna commissione. La creazione di miscellanee può compromettere la comprensione del contesto entro cui la documentazione ha avuto origine, una condizione indispensabile per una corretta ricostruzione storica. La digitalizzazione dei documenti ha in parte ovviato a questo problema, consentendo di costruire percorsi documentari tra diversi archivi, non sempre di facile accesso.

Il cronico sottofinanziamento alle attività dei Beni culturali costituisce per ora l’ostacolo più grande, con il pericolo concreto che molti documenti classificati, in special modo nelle amministrazioni periferiche, possano andare distrutti, scartati o mandati al macero per incuria e per la mancanza di cultura archivistica che caratterizza diversi rami delle istituzioni, senza contare che tutt’oggi non è possibile esercitare un controllo preventivo da parte dei funzionari dei Beni culturali sulla documentazione conservata negli archivi delle amministrazioni dello Stato.
Un insieme di problemi più volte sollevato dalle associazioni di storici come la Sissco che da tempo ha attivato, non solo riguardo a questi temi, un tavolo di confronto tra storici, archivisti e bibliotecari. Le associazioni dei familiari delle vittime hanno pubblicamente chiesto a più riprese un impegno maggiore in questa direzione, anche da parte degli storici che hanno il compito di infittire le occasioni di confronto e dialogo. È necessario connettere le molteplici iniziative, in ambito pubblico così come in quello accademico, che da anni si stanno occupando della reperibilità e dell’accesso delle fonti riguardanti le stragi e il terrorismo.
L’augurio è che i lavori del Comitato possano proseguire sia per valutare la qualità del materiale fino adesso raccolto, sia per stimolare nuovi percorsi di ricerca e di recupero delle fonti, rendendo più completo e quindi accessibile un patrimonio archivistico di eccezionale importanza per la storia della nostra Repubblica.

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