Il progetto Voci d'archivio nasce con l'idea di corredare con un'intervista i fondi documentari presenti presso l'Archivio dei Movimenti di Genova, intervistando i donatori dei fondi stessi: punto centrale è la valorizzazione della “identità” documentaria del donatore, e l'indagine sulla costruzione e il lascito dei fondi archivistici per la stagione dei movimenti.

Le ventuno interviste effettuate sono andate a creare una narrazione corale, un’indagine del lungo Sessantotto attraverso il racconto dei documenti e della loro storia, capace di sottolineare le differenze di genere e le individualità di ogni donatore e donatrice, intersecandole però in quella dimensione collettiva propria dei movimenti. Il lavoro di indicizzazione attualmente in corso permette di consultare le interviste sul portale Ti racconto una Storia, valorizzando ulteriormente il concetto di storia pubblica sotteso al progetto: una storia non scritta dagli storici o dagli archivisti di oggi, ma dagli historymakers di allora, che il lavoro scientifico si limita ad arricchire con possibili chiavi interpretative.

Per capire la sperimentazione è necessario partire dalla considerazione che i fondi degli archivi dei movimenti sono archivi di persona – nel senso che portano traccia di una narrazione di sé, seppur parziale e riferita solo a un determinato arco di tempo. È la narrazione di un sé politico, e di un sé collettivo: la lettura di questo sé va effettuata (anche) con le fonti orali, a mio parere fondamentali per rendere parlanti le carte di un archivio dei movimenti, restituendo loro, valorizzando ed esplicitando la traccia emozionale contenuta nei documenti.

La restituzione del valore emozionale di un fondo di persona permette di evitare un fenomeno di cui si sente raramente parlare a proposito degli archivi (molto più frequente, invece, nella storia orale), che è l’alienazione – in senso marxiano – della storia dai suoi produttori. La storiografia statunitense si è molto interrogata a proposito dello sfruttamento che il ricercatore oralista mette in campo nel momento in cui usa il testimone per scrivere una storia: lo spoglia della sua testimonianza, storicizzandola – e quindi inserendola in un contesto più ampio che la priva del contenuto emozionale e simbolico proprio della memoria (il quesito è ovviamente capire in che modo e in che forma sia possibile rendere più etico possibile questo sfruttamento).

Eppure questo stesso paradigma non viene mai applicato all’archivistica, forse perché l’archivio è inteso strutturalmente come luogo altro, quasi isolato – lo si vede anche nel lessico: si parla di donazioni, di lasciti. Quindi anche l’archivio aliena i documenti dal loro donatore, spogliandoli di quella componente emozionale che era presente finché i documenti erano in mano a chi li aveva raccolti – per quanto relegati in cantina o in soffitta -, inserendoli nel contesto storico-archivistico.
Se assumiamo che la restituzione del valore emozionale documentario sia un’operazione importante, quantomeno per gli archivi dei movimenti, la domanda principale è come operare questa restituzione: una parziale risposta viene proprio dall’oralità, nel senso che l’archivista stesso può diventare creatore di fonti (orali), come suggeriva già William Moss [1986].

Gli archivi degli anni della contestazione non possono e non devono alienare se stessi e i documenti conservati dai donatori e dai militanti dell’epoca, perché è proprio con il dialogo costante tra le fonti e i loro creatori che si può scrivere quella storia: è proprio in virtù di questo valore emozionale che gli archivi dei movimenti possono costituire l’autobiografia collettiva di una generazione restituendo quella visione del sé collettivo che è una componente fondamentale del Sessantotto.

La possibilità di consultazione online – arricchita da un’indicizzazione puntuale, che permette una lettura anche tematica delle interviste, e rende più facile individuare quegli elementi “collettivi” che caratterizzano la narrazione del sé politico e archivistico – rappresenta un ulteriore passaggio di restituzione, portando la sperimentazione di storia pubblica a livello nazionale e valorizzando le e gli historymakers del Sessantotto nel loro triplice rapporto con gli eventi: testimoni diretti, conservatori e, infine, narratori.

Le interviste sono consultabili sul portale Ti racconto la Storia – collezione “Voci d’archivio”.
Per approfondimenti sul progetto, V. Niri, Voci d’archivio. La storia pubblica incontra il ’68, Genoa University Press, Genova 2018.

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