Una delle aspettative positive – almeno questa l’interpretazione comune - che tutti abbiamo pensato per il dopo emergenza epidemica, è il cambiamento di qualcosa nella nostra società, del modo di pensare, delle abitudini o di chi sa quale porzione del vivere sociale.
Di una cosa possiamo essere abbastanza certi, un cambiamento concreto potremo verificarlo, ci auguriamo stabile e duraturo, e riguarda proprio archivi e documenti.
L’esplosione dell’emergenza ha prodotto in poche settimane, anzi in pochi giorni addirittura, un significativo impatto sulla disciplina del lavoro, imponendo il così detto “lavoro agile” come modalità organizzativa di tutta la pubblica amministrazione comunque declinata, sull’intero livello nazionale e rispetto a qualunque tipo di servizio e prestazione. Lo smart working, modalità già in uso con intensità diverse nel mondo aziendale e ovviamente tra i professionisti, era applicato in una piccola percentuale dalle PPAA che da diversi anni avevano sperimentato – soprattutto gli enti locali – una modalità di lavoro a distanza, facendo attenzione però ad individuare bene attività definite appunto “telelavorabili”.
L’emergenza epidemica non ci ha dato tempo e modo di scegliere: tutte le attività e funzioni delle amministrazioni pubbliche devono essere svolte da casa, che ci si occupi di procedimenti complessi magari interistituzionali, di procedure ancora legate a strumenti e abitudini amministrative non al passo con i tempi, piuttosto che di processi che prevedono una interazione continua con il mondo esterno alla PA e in particolare con i semplici cittadini.
Il lavoro agile è così diventata la modalità ordinaria di esecuzione della prestazione lavorativa con il necessario ripensamento delle logiche organizzative interne degli Enti e di tutte le loro modalità di interazione con l’esterno. È vero che il cambiamento, ancora in corso, ha trovato alcune amministrazioni non immediatamente pronte a rivoluzionare la loro organizzazione: secondo i dati della Funzione Pubblica al 3 aprile 2020, le PPAA in smart working erano il 73%, abbastanza equamente distribuite sul territorio nazionale. Ma quel 27% che ad oggi resta fuori non modifica la riflessione che stiamo conducendo.
Gli uffici, traslocati ma per gran parte funzionanti, hanno iniziato a sfruttare fin da subito la strumentazione e le tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione su cui e con cui la PA opera da anni, con successi alterni. Le amministrazioni più “virtuose”, quelle cioè più attrezzate dal punto di vista tecnologico e più dotate di strumenti di elaborazione documentale e di colloquio con l’esterno, si sono trovate avvantaggiate in un percorso non ancora così scontato.
Da qualche colloquio informale tra colleghi che operano nelle PPAA, e sarà poi utile iniziare a raccogliere dati attendibili in proposito, appare chiaro che sono aumentate notevolmente le comunicazioni telematiche, a fronte di una difficoltà oggettiva nella spedizione della carta. Questo anche da parte di semplici cittadini che non hanno alcun obbligo sull’uso di strumenti quali la PEC, ma che hanno iniziato a servirsi di sistemi di invio messi a punto dalle amministrazioni, magari semplici front-end che simulano un invio attraverso upload di documenti o rilascio di dati e informazioni. A parte i primi giorni in cui la grande macchina della PA si è andata assestando, i numeri di protocollo “staccati” dagli uffici delle amministrazioni, frutto del trattamento di comunicazioni digitali, si sono stabilizzati su numeri simili a quelli di una normale situazione lavorativa, e stanno lentamente crescendo a scapito di quelli da comunicazioni cartacee.
Il Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, coordinando proposte e offerte di amministrazioni e di aziende di servizi, ha messo a disposizione di tutte le amministrazioni, ma anche di imprese e cittadini, strumenti tecnologici e piattaforme di servizi che garantiscano l’operato digitale tra e con le amministrazioni. Il progetto Solidarietà digitale – caratterizzato dal motto “Coronavirus: la digitalizzazione a supporto di cittadini e imprese” – rende disponibili anche vari tipi di strumenti per lavorare da remoto: connettività rapida e gratuita; piattaforme di smart working avanzate; strumenti per usufruire di servizi pubblici digitali online.
La necessità di scambiare documenti e informazioni interne e con l’esterno fa sì che si stiano privilegiando procedure web per semplificare e velocizzare lo scambio di dati, il che fa toccare con mano quanto l’interoperabilità di dispositivi, di applicazioni, di banche dati e di servizi siano modalità indispensabili per operare non solo velocemente ma anche correttamente, implementando i sistemi di gestione documentale che devono e dovranno conservare documenti organizzati a testimonianza di una transazione avvenuta, di una istanza presentata compiutamente e di una decisione assunta conseguentemente.
Le piattaforme di videoconferenza, di lavoro collaborativo o almeno di condivisione di documenti e informazioni sono diventate o stanno diventando strumenti abituali di lavoro: la rete quindi non è più solo percepita come strumento di contatto sociale e di accesso a contenuti diversi, ma come vera e propria infrastruttura operativa e di connessione per motivi di lavoro e amministrativi.
Ovviamente tutto questo impone una riflessione sul rapporto tra queste infrastrutture di comunicazione e formazione e le modalità di arricchimento dei sistemi di gestione documentale che devono acquisire documenti e informazioni: in questi giorni la celerità e l’urgenza di alcune procedure amministrative (si veda le procedure indette per la Cassa Integrazione in Deroga, il Bonus per la spesa etc.) stanno richiedendo qualche semplificazione burocratica e l’uso di soluzioni pensate per snellire procedure e ottimizzare i processi amministrativi. Quale traccia resterà di questi passaggi nei nostri sistemi di gestione documentale, negli archivi correnti digitali? Saranno sempre previste le classiche registrazioni che testimoniano le transazioni? I documenti entreranno a far parte di fascicoli inerenti la singola procedura? E soprattutto, questi fascicoli saranno completi dal punto di vista della composizione e della sequenza documentale? Più probabilmente diversi canali e strumenti, certo veloci ma non interoperabili tra loro, faranno sì che una pratica possa essere condotta a buon fine (cosa che ovviamente in questo momento è fondamentale) ma non favoriranno la conseguente formazione e costituzione degli archivi.
Perché le nuove modalità tecnologiche possano venir confermate anche al rientro alla normalità, dobbiamo essere certi e confidenti che sia pienamente garantita l’affidabilità dei sistemi che significa affidabilità nella produzione dei documenti, rispondenza ai principi della provenienza e certezza nell’identificazione della responsabilità. In quest’ottica, per rendere più certe le operazioni e perché i cittadini possano accedere da casa ai servizi della PA, sono state rese disponibili procedure su cui sono attivi sistemi di riconoscimento tramite la CIE 3.0 (per procedure del lavoro e della sanità), sono state messe a punto sempre più procedure che usino lo SPID come sistema di autenticazione (ad es. per la richiesta del “Buono spesa” ai comuni), sono stati implementati, e rese interoperabili con procedure già esistenti, sistemi di firma digitale anche da remoto.
Ma se vogliamo che queste modalità diventino davvero sostitutive dei sistemi tradizionali e che siano ritenute affidabili dagli utenti interni ed esterni, dovranno avere qualche caratteristica in più: quella di poter garantire il recupero – immediatamente nello spazio adesso, ma poi anche nel tempo – di tutte le informazioni organizzate in documenti aggregati e affidabili. E ci sarà bisogno, anche in questo campo, di uniformare le capacità – professionali, qualitative, operative ed economiche – dei diversi soggetti, così che l’intera pubblica amministrazione si muova come un unico corpo le cui componenti siano effettivamente le une funzionali e integrate alle altre.
Su un altro fronte, ad esempio, le amministrazioni – e con esse gli archivisti che si occupano di queste faccende – stanno toccando con mano un problema che molti si erano già posti e che, in queste settimane, procedure accelerate e che necessitavano di una ampia e indistinta diffusione hanno elevato all’ennesima potenza: l’uso indiscriminato dei social e di qualunque tipo di strumento di comunicazione. Indicazioni operative e attuative di regolamenti giungono alla cittadinanza e agli operatori delle amministrazioni tramite sistemi di messaggistica, di mail anche non necessariamente istituzionali, si diffondono comunicazioni ufficiali tramite i social media e le diverse reti sociali – magari messe a disposizione anche dalle amministrazioni stesse al loro interno. Che traccia lasceranno questi fenomeni nei sistemi informativi documentali? Come potremo raccogliere comunicazioni importanti ai fini amministrativi se, come è ovvio, questi sistemi non sono integrati con i sistemi di gestione documentale interni alla PA? E ancora di più, come si comporteranno le amministrazioni per salvaguardare quelle miniere di dati, informazioni, comunicazioni, memorie personali, ricordi che sono in questi giorni i siti istituzionali?
Da un lato l’uso così velocemente diffusosi per motivi di necessità di strumenti tecnologici e della rete sarà quindi di impulso verso un uso normalizzato di modalità digitali, dall’altro però la PA dovrà immediatamente far rientrare queste procedure in una strategia di coniugazione dei vari sistemi di gestione documentale digitale evoluta e di qualità. Solo così si potrà davvero pensare che questa accelerazione si trasformi in una digitalizzazione generalizzata delle amministrazioni, molte delle quali ancora operano con una informatizzazione frammentaria e limitata e non sistemica, non facendo ricorso alla integrazione e all’interoperabilità dei sistemi interni e interistituzionali.
Sempre più quindi c’è bisogno anche in questo campo – come in molti altri del nostro vivere civile di cui sentiamo tanto discutere in questi giorni – di infrastrutture di servizio condivise, di policy comuni e coerenti, di un approccio interdisciplinare che metta a fattor comune competenze informatiche, archivistiche e giuridiche.
Ma anche, ci sarà bisogno, di un po’ di coerenza, per diffondere fiducia e per semplificare davvero la produzione e la gestione documentale. Sarebbe stato appunto più coerente, ad esempio, se in tutto questo proliferare di sistemi tecnologici si fosse data la possibilità di produrre attraverso procedure digitali il documento in questi giorni più diffuso tra i cittadini, l’autocertificazione agli spostamenti, attraverso form digitali utilizzabili su app e autenticabili digitalmente.