Archivi e archivisti nel mondo del cinema, ovvero come sono presenti i professionisti e i luoghi deputati alla conservazione dei documenti in un set cinematografico. È un tema che anche recentemente ha interessato molto gli archivisti (vedi da ultimo l’incontro Raccontare gli archivi con la macchina da presa, Archivio centrale dello Stato, 21 luglio 2021) e che Gianni Penzo Doria ha affrontato assai per tempo, come dimostrano le date degli eventi organizzati da ANAI in cui è stato presentato il testo.

 

Si tratta di un tema che è parte di una discussione che percorre periodicamente il mondo degli archivi e degli archivisti, soprattutto quando si discute della scarsa visibilità del settore e della scarsa attenzione che viene ad esso riservata: il problema della percezione sociale dell’archivio e, soprattutto, del ruolo dell’archivista riemerge sempre più spesso nelle discussioni e si riflette anche nel nostro caso. Infatti, come si vedrà dalle pagine che seguono, se l’archivio è talvolta considerato come una interessante location per storie di genere diverso (tutti gli archivisti di Stato italiani sanno che gli uffici dell’ormai mitico Commissariato di Pizzofalcone altro non sono che quelli, riconoscibilissimi, della sede sussidiaria dell’Archivio di Stato di Napoli), gli archivisti sono ancora – salvo le eccezioni richiamate anch’esse nelle pagine che seguono – ancorati ai più triti e vieti stereotipi caratterizzati dalle mezze maniche, dalla polvere, dall’essere impiegati di infimo ordine evitati e scarsamente considerati dai loro stessi colleghi di altri uffici. Eppure, una sorta di lentissima evoluzione positiva sembra scorgersi fra i vari film considerati, sia pure ancora limitata più che altro alla funzione dell’archivio, luogo dove si trova e si accerta la verità, e che non investe – curiosamente – la figura professionale che ne deve garantire l’esistenza e l’operatività.

Anche in una serie recente diNetflix (la fiction televisiva è stata esclusa volutamente da questa carrellata), quando gli abitanti di una cittadina mineraria (stiamo parlando di When calls the heart, 2014) riescono a vincere la causa contro la società che ha causato la morte di 46 minatori in un disastro dovuto alla mancata osservanza delle norme di sicurezza grazie alla produzione di un documento autentico contro quello falsificato dalla società, il discorso è rovesciato: il documento custodito nell’archivio della società è falso, una copia di quello autentico è fra le carte di una delle vittime che aveva invano cercato di dare l’allarme sul pericolo.

C’è, dunque, ancora da lavorare sull’immagine dell’archivista per colmare l’illogicità della incongruenza fra la percezione dell’archivio, la cui importanza è in lenta marcia di riconoscimento nel mondo del cinema, e quella dell’archivista, ancora nel migliore dei casi un rigido e ottuso burocrate, quando non direttamente un servo sciocco. In questo, forse, ci aiuterà un briciolo di autocritica: non sempre riusciamo nelle sedi opportune ad uscire dal linguaggio tecnico e da una certa autoreferenzialità anche se, d’altro canto, la scarsa conoscenza diffusa del mondo degli archivi è a sua volta causa della persistenza di quell’odore di polvere e muffa che ancora sembra aleggiare intorno a noi anche se da tempo, in realtà, l’abbiamo scosso dai nostri vestiti. Occorrerà ancora un grande sforzo da parte degli archivisti per riuscire a diffondere la consapevolezza del ruolo centrale del loro lavoro e della loro specifica preparazione professionale, non barattabile con altre e tanto meno con generiche competenze, in una società che ambisca all’efficienza, alla trasparenza e alla conoscibilità del proprio operare.

Forse allora un regista immaginerà un coraggioso archivista che attraverso rischi e pericoli riesce a salvare una memoria storica, a svelare un complotto, a sconfiggere i malvagi.

Per saperne di più
Asterix, gli altri e gli archivi – Filodiritto

Archivio Centrale dello Stato, Raccontare gli archivi con la macchina da presa, 21 luglio 2021

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